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Il contributo delle neuroscienze
e della fisica quantistica

 

“Ci siamo ossessivamente impegnati nel sistema critico e
argomentativo quale strumento assoluto di cambiamento,
ma questo è inutile al cambiamento perché non contiene creatività.
Ci siamo calati interamente nei paradigmi
dimenticando la creatività del loro cambiamento”.

( Edward De Bono )

 

Così come nella psiche umana ci sono due valenze, una maschile e una femminile, nel cervello ci sono due emisferi, uno maschile e uno femminile. La scoperta risale al 1968, quando uno psicobiologo, Roger Sperry1, premio Nobel per la medicina, presentò le sue scoperte sulla duplice funzione del cervello umano. Il nostro cervello si forma attraverso uno sviluppo lentissimo nei millenni che parte da un cervello denominato rettile che presiede alle funzioni fondamentali della sopravvivenza, funzioni come mangiare, bere, dormire, mantenere la temperatura corporea, produrre ormoni, muoversi, fuggire o lottare, sopravvivere e riprodursi (400 milioni di anni fa).
Da esso si forma un cervello successivo, detto mammifero o emozionale, che presiede a funzioni affettive e relazionali, la famiglia, i figli, il clan, le emozioni, i sentimenti, le credenze ecc. (100 milioni di anni fa). Poi, in tempi relativamente recenti, si è sviluppato un cervello superiore, o neocorteccia, diviso in due emisferi o lobi temporali con funzioni specifiche relative al pensiero (20 milioni di anni fa). Ognuna di queste due parti ha una visione propria del mondo. Non abbiamo una mente sola ma due, con due ottiche, due prospettive distinte e due modi di lavorare. Ma il fenomeno è ancora più complesso: il cervello, nella sua totalità, è l’aggregazione di strati funzionali successivi, come quelle città che vengono più volte riedificate conservando le tracce delle costruzioni più antiche. E’ come avessimo due menti che possono funzionare indipendentemente, perché hanno funzioni differenziate. Ogni emisfero reagisce a suo modo e si relaziona preferibilmente a certi stimoli e non ad altri e li elabora a proprio modo. Se si vuole comunicare a uno dei due emisferi, si deve usare il linguaggio a lui proprio. Il risultato sono due punti di vista che possono contrastarsi, reprimersi o integrarsi o, può essere, come spesso accade, che uno resti nell’ombra e si usi solo l’altro, o per tendenze personali, o per abitudine indotta dall’ambiente, dal sistema culturale, dalla scuola, dalle richieste sociali (Kandel, 1999).

L’emisfero detto maschile presiede alla razionalità, quello femminile all’intuizione.
L’emisfero maschile o sinistro comanda in modo incrociato la parte destra del corpo, che nelle somatizzazioni abbiamo chiamato parte maschile, cioè la parte destra; l’altro, quello femminile, comanda la parte sinistra del corpo. Un cervello funziona in modo logico, l’altro in modo analogico. L’emisfero razionale può solo elaborare i dati di cui è venuto a conoscenza senza produrre niente di nuovo, è come un computer che elabora i dati che sono in memoria.
L’emisfero intuitivo, invece, è aperto a soluzione nuove che vengono da un altrove infinito nel tempo e nello spazio. L’emisfero logico pesca nell’archivio di memoria personale esistente, quello analogico è in grado di pescare in una memoria universale. (ritroviamo qui la dualità che abbiamo visto in Jung tra inconscio individuale e inconscio collettivo).
La mente analitica funziona in modo lineare, per sequenze, secondo quelle regole indiscusse che Aristotele pose a fondamento della sua “Logica2, ciò vuol dire creare connessioni ripetitive entro le categorie dello spazio, del tempo e della causa, secondo il principio di non contraddizione3. Il pensiero occidentale, del resto, ha scelto di privilegiare questa parte della mente e ha costruito discorsi sulla natura, la scienza e la tecnologia basati su tutto ciò; …. ma avrebbe potuto fare anche diversamente, come è avvenuto nelle civiltà orientali, che invece, per esempio, usano il principio junghiano della sincronicità4, che per il pensiero logico è un non senso (Jung, 1952).

Il mondo orientale ha privilegiato la via analogica dell’emisfero intuitivo e ha trovato verità altrettanto stimabili ma diversamente strutturate, costruendo tutta una enciclopedia delle scienze altrettanto funzionali e utili quanto quelle occidentali, ma che partono da postulati diversi.   Mente occidentale e mente orientale hanno prodotto due visioni del mondo diverse che a volte riescono a conciliarsi, a volte sono assolutamente irriducibili.

La crisi delle scienze occidentali inizia verso il 1905 con Einstein5 che, dopo aver messo a dura prova spazio e tempo, scopre che la luce, che era sempre stata studiata come corpuscolare, dava risultati anche se veniva considerata come un’onda, solo che onda e particelle non sono congruenti. La luce risultava perciò un ente paradossale, corpuscolare e ondulatorio insieme, e mandava all’aria il principio di non contraddizione aristotelico (LeDoux, 2000).

La fisica classica pretende che la natura sia logica. La fisica quantistica scopre che la natura è paradossale e contraddice la nostra logica. Può accadere che un elettrone occupi due spazi diversi (l’esperienza della bilocazione manda in crisi il concetto di spazio) o che due elettroni che hanno fatto un lavoro comune restino in un rapporto per così dire …telepatico. Questa crisi delle vecchie coordinate è aumentata con la Teoria del Caos, la quale ha studiato proprio quei fenomeni naturali che apparentemente sembrano fuori da ogni ordine logico e dunque imprevedibili.

Mentre il frutto della mente razionale è per eccellenza il logos, o discorso verbale, temporale, spaziale e causale, cioè una sequenza di procedure (la frase, la connessione tra periodi, l’algoritmo matematico della mente numerante, la deduzione geometrica), il frutto della mente intuitiva è la visione, la percezione istantanea, così che si parla di mente artistica o percettivo-visiva (Damasio, 1999).

Ogni tempo ha creato le sue metafore, sistemi orientati su modelli di riferimento a priori: quando la filosofia greca iniziò il suo percorso con Socrate, il modello di riferimento fu il linguaggio, la grammatica, tanto che la filosofia esordì come retorica e oratoria. La logica della scienze fu desunta dalla logica della verbalizzazione e così il linguaggio nelle sue connessioni fu il principale strumento scientifico. Nel 1600, da Galilei e poi Spinoza e Newton6, il modello fu l’orologio, il meccanismo ordinato. Oggi abbiamo il computer, che incombe sulle neuroscienze come sulle scienze sociali e anche il DNA si propone come una forte metafora cognitiva.

Forse ogni metafora coglie un aspetto possibile del reale e sarebbe più giusto far interferire più modelli tra loro, cercare di far coesistere paradossalmente una mente visionaria e una mente misurante (Ramachandran, 1999).

La musica, la poesia, l’opera pittorica spesso semplicemente esplodono nella mente dell’artista come illuminazioni che lo attraversano, come se egli si limitasse a riceverle da fonti ignote che sono al di fuori di lui. Il pensiero creativo è un pensiero diverso, che abbandona le strade note e porta a vedere il mondo in un altro modo, è un’altra via originaria dell’energia. Se l’uomo imparasse ad usare di più l’emisfero intuitivo, avrebbe uno strumento formidabile per allargare i propri confini di conoscenza e di espressione e potrebbe non solo accelerare la propria creatività artistica ma far evolvere anche la propria crescita spirituale (Bromberg, 2011).

Questo è l’emisfero che sente, partecipa e relazione, perciò usare l’immaginazione significa sentire i propri problemi in modo diverso e trovare nuove soluzioni.
L’uso dell’emisfero intuitivo può essere risolutivo anche per problemi personali ed esistenziali, perché la mente razionale non può far altro che rielaborare all’infinito i vecchi dati con percorsi ripetitivi, imprigionandosi sempre più nella loro vischiosità, con vecchie sinapsi consunte e circuiti neuronali obbligati in cui l’attività mentale si stressa, mentre la mente intuitiva può produrre quella visione nuova o quel diverso modo di sentire che genera liberazione (Kaplan – Solms, 2000).

Dunque, proprio perché siamo abituati al pensiero logico ripetitivo, è bene ogni tanto far tacere il pensiero analitico che a suo modo è cieco e coatto, ed aprire il pensiero che vede, che allucina.

Passare da un emisfero all’altro è un atto di volontà e anche di allenamento che può cambiare il mondo e può trasformare la noia e la stanchezza in incommensurabile gioia. La vita spesso non è opera di comprensione analitica ma è visione (Panksepp, 2005). In essa il senso appare di colpo all’occhio interiore, è un vedere interno, che si apre non nei luoghi delle apparenze o delle misure ma nei luoghi dei sensi e dei significati, un vedere che diventa immediatamente un essere e un sentire, perché è un capire dal di dentro, senza bisogno di parole. Questo è ciò che intendono i saggi quando dicono che vedere significa essere nella verità, e se sei nella verità sei anche sano, nel corpo come nella psiche, perché l’energia scorre in te come deve, senza impedimenti, e la tua natura si realizza in piena naturalità ( Jung, 1952).

La fisica quantistica ci dà una lettura del mondo molto interessante e diversa dalla fisica classica, in cui spazio e tempo a volte sono ininfluenti, e possiamo avere la stessa informazione in due elettroni separati da grande distanza, in quanto essa si accende in entrambi simultaneamente come fossero una cosa sola, una diade telepatica, un mondo dove un elettrone che è qui può apparire anche là o può manifestarsi come frammento di una conoscenza più grande. L’universo può sembrare lineare ed esteso, ma anche coesistente ed inesteso. Mentre la razionalità congela l’essere in binari fissi, l’intuizione vede in forme sincroniche o analogiche, che l’uomo ordinario ignora o intravede solo in parte (Capra, 1975).

Nel passaggio dalla fisica classica a quella quantistica non abbiamo solo un cambiamento di definizioni ma il mutamento stesso del concetto di realtà. La meccanica quantistica scopre che una stessa particella può occupare spazi diversi, come esistesse in mondi diversi, o come esistessero mondi virtuali paralleli e si potesse passare facilmente dall’uno all’altro o esistere addirittura contemporaneamente in tutti.
L’astrofisico Hawking7 ha ipotizzato che la nostra realtà sia protetta da un Asse del Tempo Lineare, una protezione temporale che impedisce che avvenimenti del presente interagiscano sul passato provocando digressioni assurde. Ma poi Hawking e il cosmologo David Deutch8 hanno posto l’ipotesi di mondi paralleli, che permettono di aggirare la protezione del tempo.

L’uomo ha da sempre sperimentato una realtà fatta di molte cose e ha cercato di unificarle sotto linee comuni. La scienza è un tentativo di trovare poche definizioni e leggi che spieghino, in modo sintetico, le molte variazioni del reale, passando dal piano fenomenico al piano astratto, dal particolare all’universale, ma la scienza ha fatto questo percorso di sintesi usando la quantità, la misura (Capra, 1975).

Questo splitting tra scoperte neurobiologiche e cambiamento di paradigma nella fisica, ove la dimensione lineare è stata sostituita da una dimensione nella quale i concetti di spazio-tempo e di causa-effetto non hanno più la stessa valenza di prima, ci inizia a svelare quelle che sono le similitudini e le influenze che questi studi apportano nella pratica psicoterapeutica.

Gli studi sul cervello ci hanno fatto vedere come esista una mente razionale ed un’altra percettiva ed emozionale, e di come i due emisferi, in condizioni ottimali, tendano ad integrarsi, a comunicare insieme (Panksepp, 2005).

Le filosofie orientali ed anche il misticismo junghiano ci aiutano a capire di come noi, da esseri perfetti che eravamo alla nascita, periodo in cui non ci riusciva difficile vivere i nostri opposti, ci siamo trasformati evolutivamente facendo delle scelte, imposte dall’ambiente, in cui abbiamo dovuto rinunciare ad alcune parti del sé e “giocarne” delle altre (Clarke, 1996). Tutto ciò ha determinato il conflitto nevrotico.

Come abbiamo già visto in precedenza, avere la possibilità di convivere con emozione e ragione spesso avviene per mezzo del paradosso, il quale consente di non ricorrere alla dissociazione per risolvere conflitti incompatibili (Bromberg, 2011).

Abbiamo bisogno di abbandonare temporaneamente stati della mente in cui concepiamo quello che i pensieri razionali ci aiutano a concepire, e viceversa. Se entrambe le persone restano rinchiuse in stati della mente da cui non possono vedere quello che l’altro insiste a considerare come perfettamente visibile, per quale motivo entrambe le parti dovrebbero ascoltare la verità dell’altra come se riflettesse nient’altro che un atto di pura fede? Perché dovrebbero trovare la verità dell’altra lontanamente plausibile? ( Mayer, 2007).

La fisica quantistica ci ha mostrato di come la natura sia paradossale, essa ci dice che un elettrone può occupare spazi diversi ma per farlo bisogna considerare lo spazio tra le particelle. Non è simile all’affermazione degli psicoanalisti interpersonali che affermano come per percepire e poter stare con più parti del sé, abbiamo bisogno di stare negli spazi vuoti di raccordo tra esse ( Bromberg, 2011) ?

Ancora, la teoria dei Quanti ci lascia intuire l’esistenza di mondi virtuali paralleli, con la possibilità di passare da uno all’altro. Questo, oltre a ricordarci la possibilità di vivere contemporaneamente stati del Sè che patologicamente vengono scissi verticalmente e ottimalmente sono vissuti come stati del sé in grado di essere agiti insieme, ci lascia intuire l’importanza della relazione tra il mondo reale del paziente ed il mondo simbolico dello spazio terapeutico; due mondi paralleli, di cui uno, quello terapeutico, ammantato di magie fiabesche che traduce le domande del reale in risposte inesistenti, ove la cura sta nel far girare il paziente finché non possa vedere la stessa situazione da tutte le angolazioni possibili. La possibilità di passare da uno all’altro non è forse uno degli obiettivi della terapia? ( Bollas, 1997).

Anche le modifiche al concetto di spazio e di tempo possono essere transferite alla cornice terapeutica della stanza analitica, qui sia lo spazio che il tempo si ammantano di significati nuovi. Come per le particelle atomiche, la coppia analitica è contemporaneamente dentro, nello spazio materiale e fuori, nello spazio simbolico. Simultaneamente in spazi diversi. Il paradosso entra anche nella dimensione temporale ove paziente ed analista vivono sia Kronos, il tempo materiale finito di 50 minuti, che Kairos9, il tempo vissuto emozionalmente. L’analisi è scandita costantemente da Kronos ma esso è manovrato da Kairos; è una relazione senza tempo e al di fuori del tempo ma con sessioni di 50 minuti inderogabili! Tutto ciò consente lo spostamento e l’integrazione tra in vivere con sé stessi ed il vivere con l’esterno.

Un’altra importante correlazione è legata al ruolo che l’osservatore (o terapeuta) ha nel movimento fluttuante delle emozioni (stare tra i diversi stati del sé). Nella fisica atomica, lo scienziato non può assumere il ruolo di osservatore distaccato ed obiettivo, ma viene coinvolto nel mondo che osserva fino al punto di influire sulle proprietà degli oggetti osservati. Nel principio quantistico nulla è più importante di questo fatto, e cioè che esso distrugge il concetto di mondo inteso come “qualcosa che sta fuori di qui”, con l’osservatore a distanza di sicurezza, separato da esso da lastre di vetro.

Per descrivere ciò che è accaduto, bisogna eliminare la parola “osservatore” e sostituirla con “partecipante” (Capra, 1975). Questa idea è stata formulata solo di recente nella fisica moderna, ma è un’idea ben nota a qualsiasi studioso di misticismo. La conoscenza mistica non può mai essere raggiunta solo con l’osservazione ma per mezzo di tutto il proprio essere. Osservato e osservatore, soggetto ed oggetto, non solo divengono inseparabili ma anche indistinguibili.

Le nuove tecniche psicoterapeutiche non professano forse tutto ciò? Qui possiamo notare che cade anche la funziona di analista partecipante, esso diviene indistinguibile, co-crea con il paziente un mondo altro ed attiva un’inconscio relazionale che non distingue paziente e terapeuta, che non è né di uno né dell’altro ma appartiene alla coppia analitica ( Ogden, 1994).

Sul versante delle neuroscienze, i grandi passi in avanti che sono stati fatti negli ultimi anni, specialmente per la specializzazione in corso circa le tecniche di imaging10, meritano un esame molto accurato alla luce del quale è sorprendente vedere come paradossalmente le teorie freudiane stiano tornando in auge, portate su dalla ricerca neuroscientifica.

Freud tenne sempre in grande considerazione la neurobiologia, al punto che già all’epoca intuì come i progressi scientifici potessero rivoluzionare i percorsi delle nostre emozioni: “la biologia è un campo dalle possibilità illimitate, dal quale ci dobbiamo attendere le più importanti delucidazioni; non possiamo quindi indovinare le risposte che essa potrà dare, tra qualche decennio, ai problemi che gli abbiamo posto. Forse queste risposte saranno tali da far crollare tutto l’artificioso edificio delle nostre ipotesi” (Freud, 1920, p. 215).

Mi sembra molto interessante a tal proposito lo spazio di discussione aperto da Eric Kandel su presunte basi biologiche della psicoanalisi: “ bisogna riconoscere che siamo ancora molto lontani dallo stabilire una base biologica per la psicoanalisi. In effetti, non abbiamo ancora una comprensione biologica sufficiente di nessun processo mentale complesso. Pertanto, potrebbe essere che la convergenza tra biologia e psichiatria sia un po’ prematura. Tuttavia, già ora le due discipline hanno cominciato ad influenzarsi e mi pare inconcepibile che la biologia non finisca con l’offrire contributi profondi alla comprensione dei processi mentali. Deve esserci una base biologica all’inconscio dinamico, al determinismo psichico, al ruolo dei processi mentali inconsci nella psicopatologia, agli istinti, al transfert e ad ogni altro attaccamento, nonché all’efficacia terapeutica della psicoanalisi, solo per elencare alcuni dei temi più importanti. Detto questo, non voglio affatto dire che la psicoanalisi debba ridursi alle neuroscienze. Prenderà dalle neuroscienze solo gli strumenti ed i concetti che troverà utili. Vedo piuttosto un confluire tra di loro della psicoanalisi, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze in cui ogni disciplina influenzi il pensiero delle altre ed insieme riescano a sviluppare una scienza più efficace del comportamento umano….. “ ( Kandel, 1999, p.512).

Sono sempre più i neuroscienziati che stanno giungendo alla stessa conclusione di Kandel, ovvero che la psicoanalisi è ancora la concezione della mente più coerente, e quella intellettualmente più soddisfacente (Kellerman, 2009).

Freud è ritornato, e non solo in teoria, infatti si è andata formando in questi ultimi quindici anni una nuova disciplina, la neuropsicoanalisi11, per mano di Mark Solms e di sua moglie Edith Kaplan (2000) che tenta di riconciliare le prospettive sulla mente della psicoanalisi e delle neuroscienze.

Questo obiettivo si basa sull’assunto che queste due aree disciplinari, storicamente tra di loro molto divise, stiano attualmente lavorando allo stesso compito, quello cioè di tentare “di comprendere la complessità dell’attività psichica, scomponendola ed assegnando le singole prestazioni alle singole componenti dell’apparato mentale” (Freud, 1899, p.128).

Quando Freud introdusse il concetto centrale che la maggior parte dei processi mentali che determinano i nostri pensieri, sentimenti ed atti di volontà si verificano inconsciamente, i suoi contemporanei lo rifiutarono (Ellenberger, 1970). Eppure, le ricerche attuali stanno confermando l’esistenza ed il ruolo direttivo dell’elaborazione mentale inconscia (Solms, 2006).

I neuroscienziati hanno identificato anche i sistemi di memoria inconscia che consentono l’apprendimento emozionale. Joseph LeDoux, della New York University, ha dimostrato che al di sotto della corteccia cosciente esiste una via neuronale che collega l’informazione percettiva con le strutture cerebrali primitive responsabili delle reazioni di paura (LeDoux, 1996).

Poiché questa via neuronale, indagata da LeDoux, evita l’ippocampo, la struttura che genera i ricordi coscienti, gli eventi del presente attivano di regola ricordi inconsci di eventi passati emotivamente significativi, dando vita a sentimenti all’apparenza irrazionali.

Le neuroscienze hanno dimostrato che le principali strutture del cervello essenziali per la formazione dei ricordi coscienti (espliciti) non sono funzionanti durante i primi due anni di vita. E’ una spiegazione elegante di quella che Freud chiamava amnesia infantile (Kandel, 1981). Come egli aveva ipotizzato, noi non dimentichiamo affatto i primissimi ricordi, semplicemente non siamo in grado di richiamarli alla coscienza. Questa incapacità non impedisce, però, che essi influiscano sui nostri sentimenti e comportamenti di adulti (Freud, 1905).

Il fatto che siamo guidati in gran parte da pensieri inconsci, non basta a dimostrare l’affermazione di Freud secondo cui le informazioni spiacevoli sarebbero rimosse attivamente, ma in questi ultimi anni, si sono andati ad accumulare via via molti casi clinici a sostegno della teoria freudiana.

Il più celebre viene da una ricerca del 1999 di Ramachandran sui pazienti anosognosici, un danno alla regione parietale destra del cervello rende questi malati inconsapevoli di aver subito gravi handicap fisici, come la paralisi di un arto. Dopo avere stimolato artificialmente l’emisfero destro di un paziente, Ramachandran osservò che d’improvviso esso diventava consapevole della paralisi al braccio sinistro, e che la paralisi era presente da quando, otto giorni prima, era stato colpito da ictus.

Ciò dimostrava che il paziente, sebbene avesse negato coscientemente di avere alcun problema, era capace di riconoscere i suoi deficit e li aveva registrati inconsciamente. Ancora più significativo, forse, il fatto che una volta scomparsi gli effetti della stimolazione, il paziente non solo tornò a pensare che il suo braccio paralizzato fosse del tutto normale, ma dimenticò anche la parte del colloquio in cui ammetteva di avere il braccio paralizzato, colloquio di cui, peraltro, ricordava benissimo ogni altro dettaglio.

Ramachandran giunse a questa conclusione: “la sorprendente implicazione teorica di queste osservazioni è che i ricordi possono davvero essere rimossi selettivamente; osservare questa paziente mi ha convinto per la prima volta della realtà di quei fenomeni di rimozione che sono la pietra angolare della teoria psicoanalitica classica” (Ramachandran et al., 1999, p.304).

Ma Freud si spinse oltre, egli infatti affermò, come tutti sappiamo, che non solo buona parte della nostra vita mentale è inconscia e rimossa, ma che la parte repressa della mente inconscia opera in base ad un principio differente dal principio di realtà che presiede al nostro Io inconscio. Il pensiero inconscio è illusoriamente utopistico, ignora le regole della logica e della temporalità.

Se Freud aveva ragione, allora il danno alle strutture inibitorie del cervello ( dove risiede l’Io repressivo) dovrebbe liberare modalità illusorie e irrazionali di funzionamento della mente. Ed è esattamente ciò che è stato osservato in pazienti con un danno alla regione limbica frontale, deputata a controllare aspetti critici della consapevolezza di sé (LeDoux, 2000).

I soggetti manifestano una sindrome sorprendente, la psicosi di Korsakoff12: sono inconsapevoli di essere anamnesici e perciò colmano i loro vuoti di memoria con storie inventate, meglio note come confabulazioni.

Freud sosteneva che il principio di piacere dà espressione a pulsioni primitive, animalesche. Per i suoi contemporanei vittoriani, l’implicazione che, nella sua essenza, il comportamento fosse governato da bisogni che rispondevano non a uno scopo superiore bensì al soddisfacimento sessuale era francamente scandaloso. Nei decenni seguenti l’indignazione morale svanì, ma il concetto di Freud della natura animale dell’uomo fu sostanzialmente accantonato dagli scienziati cognitivi (Ellenberger, 1970) . Oggi però è ricomparso, infatti studi recenti hanno dimostrato che i meccanismi istintuali che presiedono alla motivazione nell’uomo siano addirittura più primitivi di quanto immaginasse Freud (Panksepp, 2005).

A differenza dei suoi successori, egli non vedeva alcun motivo di rivalità tra psicoanalisi e neurochimica, e si prefigurava con entusiasmo il giorno in cui le “energie dell’Es” sarebbero state controllate direttamente da “specifiche sostanze chimiche” (Freud, 1884, p.303).

Tutto ciò è supportato dal fatto che le tecniche di imaging cerebrale hanno dimostrato visivamente quanto la terapia verbale influisca sul cervello, in modo molto simile ai farmaci.

Le idee di Freud stanno tornando al centro della scena anche nell’ambito delle ricerche sul sonno e sui sogni. La sua teoria onirica, secondo la quale le visioni notturne sono uno scorcio parziale sui desideri inconsci (Freud,1899) venne messa in dubbio quando, negli anni cinquanta, furono scoperti il sonno REM e la sua forte correlazione con l’attività onirica.

La concezione di Freud sembrò perdere ogni credibilità quando, negli anni settanta, gli scienziati dimostrarono che il ciclo dei sogni era regolato da un trasmettitore chimico molto diffuso, l’acetilcolina, prodotto in una parte non mentale del tronco cerebrale; ricerche più recenti hanno però rivelato che l’attività onirica e il sonno REM sono condizioni dissociabili, controllate da meccanismi distinti, anche se interattivi.

Secondo i dati, l’attività onirica è generata da una rete di strutture imperniata sui circuiti istintivo-motivazionali del cervello anteriore, ovvero il prosencefalo (Kandel, 1999). Questa scoperta ha stimolato una serie di teorie sui rapporti tra sogni e cervello, molte delle quali ricordano quelle di Freud. Sono pochi i neuroscienziati che sostengono ancora che il contenuto dei sogni è privo di un meccanismo emozionale primario.

Il tema di fondo non è lo stabilire se Freud aveva torto o ragione, ma di completare la sua opera” (Panksepp, 2005, p.53).

A prescindere da quale sarà la terapia che ci riserva il futuro, i pazienti non potranno che avvantaggiarsi di una migliore conoscenza del funzionamento del cervello. Mentre i neuroscienziati contemporanei affrontano ancora una volta i profondi interrogativi della psicologia umana che tanto assorbirono Freud, è gratificante scoprire che possiamo erigere un nuovo edificio a partire dalle sue fondamenta, invece di ricominciare tutto da capo.

Anche mentre identifichiamo i punti deboli delle teorie di Freud, e quindi correggiamo, rivediamo e integriamo il suo lavoro, ci emoziona il privilegio di completare la sua opera” (Kandel, 1999, p.519).

Tanta la strada ancora da fare, ma il percorso penso sia stato tracciato, e bene. La psicoanalisi interpersonale è parente stretta di questo cammino che nel corso dei decenni ha saputo continuare, qualche volta correggendola, un’opera iniziata più di un secolo fa; inoltre essa trae, e trarrà, indiscutibili vantaggi dalla direzione intrapresa dalle attuali ricerche neurobiologiche che si concentrano sempre più sulle circuitazioni neuronali e sui sistemi cerebrali e sottocerebrali coinvolti nell’espressione delle emozioni. Il ruolo giocato dalle emozioni e da quel tipo di comunicazione che forma l’inconscio relazionale è sempre più centrale nella cura psicoanalitica, e gli scambi autostrutturanti della coppia analitica, transfert e controtransfert, enactment, self-disclosure, ecc.., la formano.

Mi legherei a ciò, per concludere questo lavoro, accennando ad una grandissima scoperta, ottenuta per serendipiti13 da un gruppo di ricerca dell’Università di Parma alla fine degli anni ’80; questo gruppo capeggiato da Rizzolatti e Gallese scoprì la presenza, nei primati e successivamente anche nell’uomo, di particolari neuroni definiti specchio. Il neurone specchio è uno specifico neurone che si attiva sia quando si compie un’azione, sia quando la si osserva, e addirittura anche quando si ascolta un suono associato ad un’azione compiuta od osservata (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).

Le ricerche hanno localizzato queste cellule nell’area di Broca14, deputata all’espressione del linguaggio, e ipotizzato di come la suddetta espressione sia profondamente influenzata dallo scambio emozionale che avviene nel balletto imitativo ( transfert- controtransfert?). Infatti, l’osservazione sull’uomo evidenzia il forte legame presente tra questi neuroni e il complesso sistema di espressione delle emozioni umane, per cui la ricerca si allarga anche al campo della conoscenza dei meccanismi sociali, con la prova che il concetto di “individuo” è assai relativo (Ramachandran et all, 1999). Perciò, se lo studio precedente del sistema motorio aveva portato la ricerca a plafonarsi nell’analisi neurofisiologica dei movimenti più che dei comportamenti, individuando “semplicemente” i circuiti neurali preposti al nostro rapporto con le cose, la scoperta dei neuroni specchio e lo studio della loro natura profonda ci permette di fare un salto nella conoscenza del cervello,di gettare le basi unitarie per indagare sui processi neurali responsabili dei rapporti fra le persone (Rizzolatti e Gallese, 2004).

In pratica si sta scoprendo il complesso meccanismo biologico alla base del comportamento sociale degli uomini.

 

Note 

1 Roger Wolcott Sperry (Hatford, 1913 – Pasadena, 1994). Neuroscienziato statunitense. Premio Nobel per la medicina nel 1981, insieme a David Hunter e Torsten Nils, per le sue scoperte sulla specializzazione emisferica delle funzioni cognitive indagate in soggetti “split-brain”, ovvero con rescissione del corpo calloso tale che i due emosferi cerebrali non comunicano più tra loro (cervello diviso). Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

2 Cfr. Sagnotti, S. (1999). Retorica e logica. Aristotele, Cicerone, Quintiliano, Vico. Torino: Giappichelli editore.

3 Nella logica classica, il principio di non-contraddizione afferma la falsità di ogni proposizione implicante che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè la proposizione non-A, siano entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo (Aristotele). Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

4 Ipotesi introdotta da Jung nel 1950 per spiegare la contemporaneità di due eventi complessi connessi in maniera acausale. La teoria della sincronicità non ha valenza scientifica ma psicologica.

In, Cfr. Jung, C.G. (1952). La sincronicità. Torino: Bollati Boringhieri, 1980.

5 Teoria della relatività ristretta o speciale, essa si basa su due postulati:

– le leggi della meccanica, dell’elettromagnetismo e dell’ottica sono uguali in tutti i sistemi di riferimento inerziali

– la luce si propoga nel vuoto a velocità costante C indipendente dallo stato di moto della sorgente o dell’osservatore

Il primo postulato è noto anche con il nome di Principio della relatività speciale, mentre il secondo può esser messo in relazione con la validità del principio di causa-effetto. Formula: E=mc²

Voce URL in Wikipedia, ed.italiana.

6 L’epoca del meccanicismo. Voce URL in Enciclopedia Treccani, ed.italiana.

7 Stephen William Hawking (Oxford, 1942) è un fisico, matematico, cosmologo e astrofisico britannico, fra i più importanti e conosciuti, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri e l’origine dell’universo.

Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

8 David Deutsch (Haifa, 1953). Pioniere della meccanica quantistica. Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

9 Kairos è una parola che nell’Antica Grecia significava “momento giusto o opportuno” o “tempo di Dio”. Gli antichi greci avevano due parole per il tempo, Kronos e Kairos. Mentre la prima si riferisce al tempo logico e sequenziale, la seconda significa un momento di un tempo indeterminato in cui qualcosa di speciale accade, ciò che è la cosa speciale dipende da chi usa la parola. Mentre Kronos è quantitativo, Kairos è di natura qualitativa.

Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

10 Cfr. Pettinelli, E. (1996). Immagini funzionali del cervello, in Cervello e interpretazione delle Scienze, n.18.

Roma: A.D.E.C.E.U.

11 Cfr. Solms M., Kaplan-Solms K. (2000). Neuropsicoanalisi. Un’introduzione clinica alla neuropsicologia del profondo. Milano: Cortina, 2002.

12 Sindrome di Korsakoff: malattia degenerativa a carico del sistema nervoso, interessa principalmente il talamo, l’ippocampo, i corpi mammillari e la regione frontale. Frequente è il fenomeno della confabulazione, vale a dire che i pazienti riempiono i loro vuoti di memoria con produzioni fantastiche.

Voce URL in Wikipedia, ed. italiana.

13 Neologismo che indica la possibilità di fare scoperte per puro caso, e, anche, di trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra. Esso fu coniato da Horace Whalpole nel XVIII secolo.

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14 L’area di Broca è una parte dell’emisfero dominante del cervello, localizzata nel piede della terza circonvoluzione frontale, la cui funzione è coinvolta nell’elaborazione del linguaggio. Tale area è connessa all’area di Wernicke da un percorso neurale detto fascicolo arcuato. Prende il nome dal medico e anatomista Paul Pierre Broca, che fu il primo a descriverla nel 1861 dopo aver condotto un’autopsia di un paziente afasico.

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