A chi mi rivolgo come Psicoterapeuta e Psicoanalista

A chi desidera intraprendere un viaggio alla scoperta di se stesso e del proprio mondo interno. Perchè è proprio lì dentro che si creano quei blocchi che ci fanno vivere male, che ci fanno convivere con segni e sintomi invalidanti. E’ un’occasione rara ma fondamentale nella vita di una persona perché è proprio dall’equilibrio tra le richieste interiori della nostra psiche e quelle del mondo esterno intorno a noi che si determinano stati d’animo di malessere o di benessere. Quando gli equilibri saltano emergono i sintomi che portano a consultare uno psicologo o uno psicoterapeuta. Io chiaramente lavoro sui sintomi, mi sono formato per questo; specificatamente nei disturbi di ANSIA e attacchi di PANICO, nei disturbi dell’UMORE e nella DEPRESSIONE, nelle FOBIE e nelle MANIE. Per ciò che concerne gli adolescenti mi imbatto spesso nei DCA (Disturbi del comportamento alimentare), nei TAGLI (Self cutting), nei disturbi della CONDOTTA, nell’abuso di SOSTANZE come alcool e droga, nel non sentirsi apprezzati (bassa AUTOSTIMA ) o nel non percepirsi piacevoli di aspetto. Cerco di affrontare tutto ciò e di risolverlo ma lavorando oltre che sul sintomo anche sulla causa che lo ha generato, appunto un qualcosa che si è formato nel nostro mondo interno e che ha costruito dei blocchi

“Forse non ci sono giorni della nostra adolescenza vissuti con altrettanta pienezza di quelli che abbiamo creduto di non aver vissuto”

Marcel Proust

“Conosci tutte le teorie. Domina tutte le tecniche. Falle tue, interiorizzale….. ma poi dimenticale. Ricorda solamente che per toccare un’altra anima, devi semplicemente essere ed avere un’ anima umana”

Carl Gustav Jung

“Fra i rumori della folla ce ne stiamo noi due, felici di essere insieme, parlando poco, forse nemmeno una parola”

Walt Whitman

“Tu va’ verso oriente; io andrò verso occidente», sentire così è segno di alta umanità nei rapporti più stretti: senza questo sentimento ogni amicizia, ogni rapporto fra maestro e allievo, fra maestro e discepolo, diventa un giorno, quando che sia, ipocrisia”

Friedrich Nietzsche

Adolescenti

L’adolescenza è quella parte della vita dove tutto ciò che accade viene vissuto con sentimenti e sensazioni fortissime, amplificate. E’ un’età in cui tutto ciò che si è formato nei nostri anni di vita precedenti, viene fuori, diventa sintomo, segno, malessere, tratto caratteriale. Questo perchè c’è il confronto con il gruppo dei pari, ci sono gli agiti di quel corpo che si può iniziare ad esprimere appieno ( vuoi per maggiore libertà, vuoi per migliore definizione), ci sono i pensieri che possono avere un orizzonte più vasto. Tutto ciò non è sempre positivo perchè gli stimoli provenienti dal mondo esterno sono spesso travolgenti, troppi e troppo intensi. I giovani di oggi sono figli digitali, cresciuti con il computer e lo smartphone, sono perennemente connessi e social; con un clic possono essere “amici” di milioni di ragazzi come loro o andare in milioni di posti, ma poi scoprono che effettivamente tutto ciò non li nutre dentro perchè lo vivono in maniera virtuale, non riescono ad andare in profondità. Venire in terapia per loro significa darsi una possibilità di rallentare il tempo, di cercare un proprio tempo interiore che non li faccia vivere con la sensazione di essere travolti.
L’adolescenza è una fase della vita fondamentale nel gettare le basi di quella che sarà l’identità adulta. Conflitti con i genitori e le autorità, il rifiuto delle convenzioni, l’insoddisfazione per il proprio corpo, l’importanza del gruppo di coetanei sono tutti elementi che devono trovare una sintesi verso la costruzione di una personalità solida. Se questa difficile concertazione non trova le risorse per essere completata, ecco il manifestarsi di profondi stati di sofferenza. Le aree di intervento riguardano:

  • Problematiche scolastiche (DSA, bocciature, abbandono scolastico);
  • Disagio rispetto al proprio corpo (mancata accettazione, esasperazione dell’apparenza estetica);
  • Incertezze sulla propria identità sessuale;
  • Conflitti con i genitori e le figure adulte (insegnanti);
  • Crisi esistenziale (dubbi sul proprio progetto di vita);
  • Sofferenze in campo amoroso (“sono stato lasciato”, “nessuna mi vuole”, “ho il terrore del sesso”);
  • Pensieri e gesti autolesivi (pensieri suicidi, gesti di autolesionismo);
  • Scatti di rabbia (perdite di controllo);
  • Dipendenze dai mezzi tecnologici (internet, video games)

    Lo spazio psicoterapeutico rappresenta per l’adolescente un luogo in cui poter riordinare e simbolizzare le parti confuse e caotiche della propria personalità in cantiere.

Adulti

La decisione di chiedere una psicoterapia può essere determinata dall’aver preso coscienza di una condizione di sofferenza che si protrae da molto tempo, dall’insorgere di un episodio traumatico (lutto, separazione, incidenti), da una problematica in un’area specifica della propria esistenza (lavoro, affettività) o dal voler intraprendere un percorso di consapevolezza e conoscenza di sé.
Le aree d’intervento riguardano:

  • Depressione e stati depressivi;
  • Disturbi dell’alimentazione (anoressia; bulimia; binge-eating);
  • Problematiche sessuali (impotenza, anedonia, frigidità, ansia da prestazione);
  • Difficoltà con il nucleo famigliare (proprio e di origine);
  • Difficoltà nelle relazioni affettive e sociali (mancanza di coinvolgimento affettivo, instabilità relazionale);
  • Attacchi di panico e stati d’ansia (pervasivi o in situazioni specifiche);
  • Fobie che limitano la socializzazione e la libertà di movimento;
  • Eventi traumatici (lutto, incidenti, separazioni, licenziamento);
  • Pensieri ossessivi (intrusivi e ripetitivi) e gesti compulsivi (sentirsi obbligati a compiere un gesto più volte).

Secondo il tipo di problematica, la terapia assume una forma altamente personalizzata che ne decide sia la durata e la frequenza sia la possibilità di integrare con un lavoro sul corpo. Trovo sempre molto efficace simboleggiare la nostra psiche con un iceberg: abbiamo una parte cosciente, quella che affiora dall’acqua coperta di ghiaccio, che spesso pensiamo essere tutta la nostra mente. E’ lì che compaiono i sintomi, i segni che qualcosa non funziona. Però pochi sanno che, come un iceberg, quella è solo una parte, la parte visibile e razionale, che interagisce attraverso il linguaggio e spera che aiutandosi con la forza di volontà si possano risolvere i problemi. Il grosso della nostra psiche è sott’acqua, è inconscio.
Lì agiscono forze molto grandi, ci sono correnti talmente forti che se decidono di farci spostare in una direzione, la nostra parte cosciente non può opporsi, neanche facendo sforzi volitivi immani . Occorre scendere giù a vedere cosa è che blocca, che ci minaccia, cosa occorre ripulire. E’ l’unico viaggio che non si può fare da soli, occorre una guida esperta che ci conduca per mano, che ci dica dove fermarci a riprendere fiato, che ci blocchi dove non siamo ancora in grado di andare, che ci dia forza nel guardare mostri che provocano dolore ma che non fanno male. Ricordandosi sempre che è il viaggio più bello del mondo.

Coppie

Una coppia è un’entità a sé, formata da due individui che co-creano una strada comune e assegnano tacitamente il ruolo che ognuno dei due giocherà all’interno della relazione. Vi sono due poli estremi su cui si muovono le scelte di coppia: da un lato la scelta per complemento e dall’altro la scelta per contrasto. La scelta per complemento attualizza il rapporto con l’oggetto primario, ossia viene scelta una persona che attiva e soddisfa i bisogni con le stesse modalità psico-emotive e corporee con le quali erano soddisfatti nel rapporto con il genitore del sesso opposto.

Ad esempio, l’uomo plasma inconsapevolmente la partner a immagine e somiglianza della madre. Nella scelta per contrasto, il partner deve essere l’opposto del genitore dell’altro sesso. In altre parole, il rapporto di coppia collude sulla negazione reciproca della presenza di elementi genitoriali sia psichici che corporei. Ora, mentre la scelta per complemento è una scelta libidica e come tale consente l’elaborazione dei conflitti di coppia, la scelta per contrasto è antilibidica. E’ antilibidica non solo sul piano sessuale, si arriva alla perdita dei rapporti sessuali, ma anche sul piano più generale degli investimenti psicofisici. Facilmente queste persone arrivano a non avere alcunché da condividere se non qualche interesse concreto come la casa o i figli. L’altro, infine, può essere scelto anche in quanto soddisfa un bisogno come quello di risolvere la propria solitudine.

Emergono allora aspetti anaclitici dove c’è una totale assenza di affettività e la coppia si regge solo sulla soddisfazione del bisogno. Le richieste portate sull’altro diventano imperativi assoluti: “tu devi” diventa una condizione obbligatoria. E’ qui che entra in gioco la fusione e la patologia a lei intrinseca, l’oggetto parziale viene incluso in una sorta di immagine gratificante diventando una estensione del proprio sé. Una persona con tendenze depressive può scegliere un partner depresso a cui cederà la propria depressione curandola in lui, oppure può essere data la propria parte persecutoria sadica all’altro diventando la vittima. Più massicce sono le proiezioni e maggiore sarà il controllo reciproco. Sembrerebbe un dilemma paradossale, la separatezza tra due persone (specificando separatezza proprio per distinguerla dalla separazione), cioè la possibilità di un vuoto tra sé e l’altro di modo che si possa creare un dialogo e non un monologo, porta sì alla solitudine ed a una possibilità maggiore di convivenza con l’angoscia, ma è anche la strada per avere una relazione con un oggetto intero altro da sè con cui arricchirsi nella diversità.

Viceversa conglobare l’altro nella fusionalità, individuando nel partner parti di sè che è più funzionale “farle giocare all’esterno” porta alla tomba dell’amore. Si diventa monade, si viene a perdere ogni desiderio proprio perché non esiste più l’oggetto del desiderio stesso. In questo incastro, la scelta di uno dei due di andarsene provoca sempre degli sconvolgimenti psichici impressionanti (basti pensare all’infinita casistica dei femminicidi). Questo è possibile perché andandosene, l’Altro porta via parti psichiche che non gli appartengono e dalle quali è impossibile distaccarsi.
La terapia di coppia può aiutare a districarsi da questi movimenti psichici così dirompenti anche se non è un percorso semplice. Bisognerebbe aiutare i partners a recuperare i propri confini egoici che sono i propri spazi di scelta, di pensiero, di azione. Recuperare l’autonomia nella dipendenza affettiva reciproca è la meta che consente l’uso sano dell’Altro, ovverosia la consapevolezza del fatto che il dare qualcosa all’altro e l’avere qualcosa dall’altro non sono movimenti consequenziali ma simultanei. La coppia, allora, può usarsi senza danneggiarsi, diversamente l’uno domina l’altro e la sopraffazione patologica entra facilmente in gioco.

Supervisione

Per poter aiutare un collega meno esperto a condurre un’analisi si deve rinunciare a tutto ciò che di solito si intende per insegnamento. Qui il saper fare coincide con il saper essere. Il supervisore, pur non assumendo con il candidato la funzione di analista, sa che l’indicazione di aspetti relazionali non colti o non padroneggiati presenti nel protocollo non si traduce in un semplice apprendimento razionale, ma suscita una ristrutturazione, anche impercettibile, del mondo interiore dell’allievo.

Se egli segue il metodo di suscitare una maggiore consapevolezza nell’altro promuovendo un processo autoriflessivo, non ricorrerà alla soluzione di fornire solamente precise indicazioni tecniche, ma attirerà l’attenzione sullo svolgimento dell’interazione e sulle reazioni del paziente agli interventi interpretativi; indicherà i punti d’impasse e solleciterà il candidato a trovare lui stesso forme di relazione più rispondenti alla situazione. Non necessariamente le soluzioni così trovate devono corrispondere al tipo d’intervento che il supervisore avrebbe seguito lui stesso in quella situazione. La discriminante per giudicare corretto un intervento è data dalla sua adeguatezza alle finalità teoriche e metodologiche perseguite e al momento storico della relazione analista-paziente, non dalla coincidenza con la soluzione che il supervisore avrebbe messo in atto.

Ogni analista ha un suo proprio “stile” – ad esempio è più o meno diretto o attivo nell’interazione – e il supervisore dovrebbe individuarlo e rispettarlo. Quindi, la prima preoccupazione metodologica per il supervisore riguarda la creazione di un clima sereno di collaborazione non giudicante, accompagnato, tuttavia, dalla richiesta di esplicitare nei resoconti scritti i vissuti provati come parte integrante della presentazione. È questa una modalità diretta per introdurre il candidato all’ascolto di sé e alla comprensione della propria risonanza alla struttura del paziente come mezzo di lettura di quanto si svolge nella relazione. In supervisione l’attenzione deve essere portata sui fattori osservabili che impediscono il fluire della comunicazione tra candidato e paziente, tralasciando l’analisi delle motivazioni interiori che li hanno determinati.

Attirando l’attenzione sulla relazione intersoggettiva, e non solo sulla struttura del paziente e sulle sue riproposizioni transferali, si farà luce sui punti di impasse che il candidato non vede e sulle eventuali proiezioni o negazioni con cui li copre. È questa una “metodologia didattica” utile a trasmettere al candidato un metodo d’analisi rispettoso della soggettualità dell’altro e dei tempi necessari perché si sviluppi un processo di autoriflessività. In questo modo egli potrà apprendere a seguire con il suo paziente la stessa gradualità.