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disagio-adolescenziale cura a FIrenzeFemminicidio

(una prospettiva psicoanalitica)

Rimango sempre scosso dagli episodi di femminicidio che si susseguono ormai da molto tempo nel nostro Paese, addirittura con una costante accelerazione nei numeri e nella disperazione dei gesti. Il sentimento che mi pervade è quello dell’ineluttabilità dell’evento, della mano che mette a tacere le urla interiori di uno strappo lacerante che non permette l’elaborazione psichica. Non stiamo su un registro relazionale bensì intrapsichico, ciò che il carnefice non può tollerare è la convivenza con la mancanza, che non è mancanza dell’Altro intesa come deprivazione affettiva ma piuttosto la mancanza di aspetti del proprio Sé proiettati sull’altra persona attraverso un rapporto fusionale che il partner si porta via con la separazione.

Leggendo i commenti a questi fatti, giustamente intrisi di compassione per la vittima e di rabbia per l’accaduto, mi sorprende che nessuno abbia mai tentato di approfondire le dinamiche sottostanti le quali dovrebbero metterci in guardia sui rischi che si possono correre quando non si riesce a raggiungere un adeguato processo di individuazione. Il latino evidenzia l’indivisibilità della persona sottolineando che ogni singolo individuo ha caratteristiche proprie che lo rendono unico e lo differenziano da tutti gli altri essere umani. Il mancato raggiungimento di tale processo ci relega su di un piano d’appoggio nelle relazioni ove la dipendenza psicologica ci porta ad annullare la distanza con l’Altro da noi ed a formare inconsapevolmente una monade. Per essere in due e, conseguentemente, avere un rapporto con un’alterità abbiamo bisogno di un vuoto, seppur piccolo, tra noi e l’altra persona. Un vuoto che mette confini e divide, che permette di distinguere ciò che appartiene a noi da ciò che non. La costruzione di un dialogo (dal greco dià-fra elògos-discorso) ha bisogno di uno spazio che ci faccia contare almeno sino a due, altrimenti è un parlare che diviene monologo; ed è proprio quest’ultimo il discorso precipuodi una monade, qui regna una confusione di lingue ove il parlato rimanda sempre a se stesso. Attraverso il meccanismo della proiezione e, ancor di più, dell’identificazione proiettiva noi possiamo depositare nel prossimo (inteso come il più vicino a noi) aspetti scissi della nostra personalità, parti psichiche che non riusciamo a vivere perché intollerabili, e successivamente elicitiamo l’altro ad agirle. In un rapporto fusionale tutto ciò diviene tremendamente facile, quasi un automatismo, vi è un continuo rispecchiamento ove è impossibile stabilire ciò che appartiene a noi da ciò che è dell’Altro. Il sentimento che prevale in questo tipo di configurazione è quello della rabbia, lo specchio ci rimanda continuamente aspetti della nostra personalità che non vorremmo vedere. Il partner, quindi, diviene facile bersaglio poiché ci mette continuamente in contatto con il nostro rimosso, con la nostra ombra. La relazione, nel suo divenire fusione, soffoca e non protegge (intendendo per protezione l’affettività e non la fisicità), la sessualità si spegne silenziosamente ripiegando nell’onanismo solitario perché la carica erotica perde il suo innesco principale, vale a dire la scoperta dell’alterità in ogni suo aspetto: il corpo, lo sguardo, gli odori, i sapori, le emozioni di ciò che non è conosciuto ma che viene sperimentato nel qui e ora della relazione intima.

In questa dinamica, nell’uomo prendono forma aspetti del passato che hanno radici lontane, esse pescano nel transgenerazionale per affermare che storicamente vi è un sesso forte che ha il diritto di esercitare la propria potestà e la propria forza sull’altro ritenuto debole. Paradossalmente, invece,

l’espressione della supremazia fisica serve a silenziare la propria dipendenza verso la donna. Attualmente l’identità maschile risulta in declino in una società che vede sempre più bilanciate le posizioni fra uomo e donna. La leadership in famiglia può venire gestita in un modo maggiormente paritario, il cambiamento delle famiglie pone in auge un certo livellamento delle posizioni di potere tanto che la funzione di detentore della Legge nell’ambito familiare risulta sempre più spesso posta in discussione.

L’uomo forte della storia, riportato nella psicoanalisi attraverso la teoria ed i casi clinici freudiani viene sempre più soppiantato dall’uomo fragile e vulnerabile. Ne consegue che è quasi sempre la donna a farsi carico della scelta, a prendersi la responsabilità del distacco. Ciò che la spaventa non è tanto l’aggressività esterna quanto la fragilità interna del partner, che diviene furia e disperazione quando viene a mancare l’appoggio di sopravvivenza, “il giubbotto di salvataggio”. Parlo di sopra-viveresottolineando come esso sia il dinamismo principale dell’appoggio anaclitico proprio della fusione; vivere sopra le relazioni, le emozioni, il divenire che si presenta nel qui e ora. La vita è altrove, essa è figlia del processo di individuazione che ci permette di andare verso l’Altro per desiderio e non per bisogno.

In questa con-fusionecosa si porta via il partner che decide di separarsi? Aspetti proiettati del sé dell’Altro. A mio avviso è questa la perdita che non si è in grado di tollerare, parti psichiche vitali dalle quali non riusciamo a separarci, che rimangono incistate laddove le abbiamo depositate: nello psiche-soma del partner. Anche l’amore è altrove, anch’esso è figlio del desiderio.

La dipendenza prende la strada della disperazione, le fondamenta vacillano facendoci scoprire che poggiavano su un terreno non nostro, in particolare ciò che angoscia fino ad urlare è la nostra voce che si fa eco attraverso il vuoto della mancanza. E’ il proprio mondo psichico che cade a pezzi portandoci a vivere sofferenze da cui, a differenza del pericolo proveniente dall’esterno, non è possibile sottrarsi. E’ impossibile fuggire poiché proviene da noi stessi, soprattutto quando manca l’altro da noi, colui che ci può rassicurare e sul quale noi possiamo proiettare.

In questo quadro, alcuni, quelli più invischiati, decidono di staccare la corrente a tutto. Alla vita, a loro stessi e all’Altro, come a ricomporre magicamente tutti i tasselli del proprio sé in un’altra dimensione. Questo atto estremo di ipertrofia egoica e di bisogno di controllo che alla fine implode su se stesso, sia esso reale che proiettato, segnala in modo evidente che, a livello individuale come a livello collettivo, non è più possibile continuare con un modello “aggressivo”, tradizionalmente qualificato come maschile, che dissocia e reprime le “qualità” tradizionalmente considerate femminili.

La crisi delle stereotipate identità maschile e femminile fa emergere la necessità di rivalutare e reintrodurre attitudini come l’abbandono, la resa, la ricettività, l’accettazione, il sentimento, la sensibilità, l’apertura del cuore, la comunione, il prendersi cura degli altri e della natura, l’umiltà (che viene dahumus, terra) che riconosce e rispetta le leggi dell’universo.

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