Al momento stai visualizzando Self cutting
  • Categoria dell'articolo:Adoloscenza

Self cutting

Il self cutting o il “tagliarsi” come si usa dire nel gergo adolescenziale è divenuto negli ultimi anni un fenomeno sociale molto diffuso e per questo molto preoccupante. Un’azione violenta che un giovane commette su se stesso, sul proprio corpo, fa stare in un contatto profondo con l’angoscia che da quel gesto genera. Angoscia dei genitori che si sentono indifesi rispetto al dolore che fuoriesce dalla ferita, angoscia del ragazzo, o spesso della ragazza, che reagisce ad essa con uno slancio di vitalità che non permette all’istinto di morte di prendere il sopravvento. Vedere il proprio sangue spesso ci fa sentire vivi, vederne troppo ci fa preoccupare che non lo saremo per molto. Apparentemente è un paradosso ma non lo è di fatto, il limite tra istinto di vita e istinto di morte è molto labile in tutti noi; una sfida psicologica nel futuro penso possa essere proprio cercare di avvicinare queste due istanze che teniamo debitamente ed erroneamente ai poli opposti dei nostri pensieri.

Autolesionismo adolescenziale

Tornando a noi, l’autolesionismo moderato, inteso come lesione della superficie corporea (tagliarsi, bruciarsi, graffiarsi, colpirsi), è un fenomeno sempre più indagato dalla letteratura, attraverso le implicazioni che ha nella clinica, nel sociale ed anche nel simbolismo del gesto. Sicuramente è un sottolineatura di un crescente malessere giovanile.
La cultura del narcisismo, il dominio di valori materialistici, la spinta ad uno stile di vita competitivo ed altri fattori tipici della società contemporanea possono contribuire a generare nei giovani un senso di alienazione e di solitudine, andando a complicare le sfide adolescenziali, come quella che attiene alla costruzione dell’identità.
Incisioni, tagli e bruciature comunicano la necessità di depositare sulla pelle vissuti emotivi che potrebbero essere contenuti, mentalizzati, espressi altrove. La pelle come una tela. Prende corpo un linguaggio di confine, pre- simbolico, viscerale, come nelle forme estreme autolesive di body-art contemporanea.
Lo squarcio come la cicatrice rende evidente l’esistenza tra due spazi, un dentro e un fuori, tra due tempi, un prima e un dopo, che possono essere attraversati e percorsi in entrambe le direzioni; il taglio li definisce, li distingue, ma al contempo li amalgama in un’ombra dai contorni indefiniti. La cicatrice, quindi, come una caesura, che separa e collega.
Il taglio rinvia alla possibilità di definire, confinare, delimitare i propri margini, ma al contempo al rischio di aprirli, esporli, squarciarli, rinegoziando ogni volta le infinite labilità del limite.
Alcune persone scelgono di gestire tali sfide attraverso la manipolazione esterna della superficie corporea, dalle procedure di cosmesi ai tatuaggi, dalla chirurgia estetica ai piercing, fino ad arrivare a forme di autolesionismo; una manipolazione che “permette” l’espulsione dal corpo di un oggetto sentito come alieno o inquinante, accedendo alla possibilità di salvare il Sè, ma permette anche di creare un corpo ideale che garantirà l’amore e il desiderio dell’altro in una fantasia di fusione di un Sè idealizzato.


Prendono corpo esigenze reali proprio in adolescenza quando il nuovo corpo, estraneo e persecutorio, può rappresentare una minaccia al senso d’integrità. Viene disegnato, rimodellato, talvolta maltrattato al punto che può divenire possibile meta di attacchi distruttivi, in un processo di appropriazione. D’altronde, il corpo è una superficie di iscrizione costantemente implicata nel processo di definizione identitaria e al contempo nello scambio con l’altro, in un percorso evolutivo che può condurre a rifiutare sia ciò che è diverso da Sé sia, paradossalmente, ciò che è più proprio;
è la difficoltà di definire l’identità nella società attuale a far crescere il bisogno di aggrapparsi al corpo, come contatto col reale, anche negli agiti, che possono sostituire il processo di simbolizzazione,
In una prospettiva sensibile agli studi di genere è noto che il percorso di costruzione dell’identità, dunque dell’identità di genere, risulta più complesso per le ragazze, in virtù del genere e del difficile processo di separazione dalla madre, contemporaneo oggetto di investimento e differenziazione. Il corpo femminile, che ha unito madre e figlia, diventa il teatro del movimento di separazione- individuazione, complicato dal fatto che la donna si identifica come tale avendo come direttrice identificatoria di genere la propria madre dalla quale allo stesso tempo si separa (Nunziante-Cesàro, 2014).

Modificazioni corporee

Le modificazioni corporee sono state interpretate alla luce della relazione col materno, volte a demarcare il confine corporeo come separato e appartenente al Sè, in un continuo gioco di sguardi e di comportamenti provocatori con l’altro/madre come specchio, “the (m)other as mirror” (Lemma, 2005, p. 70)7. Adolescenti dai confini incerti possono ricorrere a difese masochistiche per fuggire da dinamiche fusionali con la figura materna, che non consente la separazione. È il dolore del rapporto madre-figlia che può trovare la strada del sintomo, traducendo il difficile processo d’identificazione, è il “corpo a corpo” che resta disarticolato dalla rappresentazione, convertendosi nei linguaggi legittimati dall’immaginario maschile.
L’instaurarsi dell’Io si radica nella pelle e si sviluppa nella primitiva relazione madre-bambino quando, grazie alle cure materne, il bambino può gradualmente riuscire ad introiettare la funzione di contenimento delle parti di Sè ancora non integrate e differenziate, funzione che si organizza a partire dall’esperienza di sensazioni cutanee di calore e di nutrimento materno. L’oggetto contenitore, che è al contempo la pelle della madre e la propria pelle, è vissuto come prima pelle ed è introiettato con le sue funzioni psichiche di contenimento, la “pelle psichica” (Bick, 1968).
L’oggetto introiettato non risulta sempre stabile e sicuro, per cui può costituirsi un involucro danneggiato, la cui continuità é interrotta da buchi o zone vuote. Per tenere insieme le parti si può sviluppare una “seconda pelle” in cui si assiste ad una pseudo-indipendenza dall’oggetto e ad un uso inappropriato di certe funzioni mentali allo scopo di creare un sostituto delle funzioni di contenitore della pelle.
Il contributo fondamentale alla comprensione dell’importanza dell’involucro pelle nello sviluppo dell’Io giunge dai lavori di Anzieu, in particolare dalla teorizzazione del concetto di Io-Pelle, definito come “una rappresentazione di cui si serve l’Io del bambino durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi se stesso come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo”
quando l’Io-pelle funziona bene, come un involucro narcisistico, garantisce un senso di sicurezza, mentre quando non funziona si trasforma in involucro di sofferenza, bersaglio di proiezioni e luogo intriso di vissuti di vergogna.
Nella distinzione teorizzata da Laufer (2005), il “corpo interno”, quello libidico risultante dalla relazione col materno, si distingue dall’immagine corporea; quest’ultima deriva dall’esperienza sensoriale che conduce verso la strutturazione di una rappresentazione psichica della stessa, separata dal materno in un’identità altra.
Se normalmente queste due dimensioni vanno verso una graduale integrazione, nelle derive patologiche prende forma una scissione, origine di quell’odio verso il proprio corpo. La sfida adolescenziale impone di integrare una nuova immagine corporea che tenga conto del nuovo corpo sessuato.
Concludendo si può affermare che nelle condotte di attacco al corpo le giovani donne rivelano una certa fragilità narcisistica (Jeammet, 1989), confusione o mancata separazione Sé-Altro, tipica degli stati limite (Green, 1991), che impedisce loro di affrontare i cambiamenti puberali tipici dell’adolescenza. L’investimento masochistico diviene allora una modalità difensiva ed autarchica di ripiegamento sul Sé per rifiutare il corpo sessuato e marcare una separazione e una differenziazione con l’altro.

Lascia un commento