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Normalmente pazzi o pazzamente normali?

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E’ molto difficile definire oggettivamente cosa sia normale e cosa invece appartiene alla follia, si potrebbe dire tutto ed il contrario di tutto; a me sembra illuminante il pensiero di Laing che basa sulle posizioni autoescludentisi dei due termini sanita’ e pazzia i suoi concetti in materia.
Cio’ viene chiarito quando cerca di esporre il significato di sanita’ mostrandone due accezioni, una vera ed una falsa. La persona sana e’ quella che si adegua al mondo cosi’ com’e’: in questo modo entra a far parte dell’esercito della normalita’. Oppure la persona sana non si adegua mai al mondo che ha dinanzi, perche’ l’adeguarsi tradisce cio’ che la rende la persona che e’. Quello che si pensa della sanita’ dipende allora da cio’ che si pensa dell’individualita’, e cioe’ se qualcosa del genere esiste e , qualora esista ,se vada privilegiata o meno. La sanita’ viene chiamata in causa per evocare sia cio’ che ha piu’ valore per noi, sia cio’ che potrebbe metterlo in pericolo. Tale confusione concettuale e’ rivelatrice, perche’ anche la pazzia puo’ essere usata esattamente alla stessa maniera: anch’essa puo’ infatti richiamare sia cio’ che apprezziamo di piu’ di noi stessi, sia cio’ che ci spaventa di piu’. Si tratta degli aspetti su cui siamo in contrasto proprio con noi stessi.
Infatti,anche qui e’ in gioco il modo in cui descriviamo cio’ che ha piu’ valore per noi, il che include, ovviamente, le esperienze attraverso cui siamo giunti a certe conclusioni sull’essere sani di mente, conclusioni che riguardano cio’ che vogliamo o che siamo costretti ad essere.
Credo che esistano due facce della follia, una e’ quella stereotipica e pregiudiziale: ogni societa’ ha i suoi matti ed i suoi normali, traccia una linea di esclusione e costruisce dispositivi di stigmatizzazione che variano storicamente, isolando di volta in volta gli altri ed i diversi. Possiamo riconoscere questa linea, cercare di abbatterla o di renderla piu’ sottile, ma dobbiamo anche riconoscere che essa ogni volta si ricostituisce.
Esiste una societa’ senza il suo folle ?
L’altra faccia e’ l’esperienza stessa della follia, cio’ che resta e non si riduce allo stigma. Qualcosa che paradossalmente dovrebbe essere salvato, sottratto dalla sofferenza, riguadagnato alla soggettivita’ di ciascuno di noi. Qui psichiatria e psicanalisi possono incrociarsi nel loro lavoro critico: l’inconscio va salvaguardato cosi’ come dovremmo custodire la nostra parte “ notturna “, il senso non normalizzabile del nostro esistere.
E se scoprissimo che l’esperienza della follia e’ un bene prezioso che da senso al nostro vivere e ci permette di pensare e di agire, di trasformarci ogni volta in qualcosa d’altro?
Credo fermamente che civile e’ quella societa’ che sa ospitare la follia.
E’ allora attraverso l’immedesimazione, l’empatia, il mettersi nei panni dell’altro, apparentemente incomprensibile, che possiamo infine arrivare a comprendere. Cio’ richiede un grande desiderio di conoscenza della condizione umana, restando in uno stato di sospensione di giudizio; la posizione e’ difficile da attuare, ma porsi in ascolto ed osservazione di tutti gli altri mondi possibili e’ fondamentale.

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